Corso formativo“Capire i propri figli”

1 01 2012

Corso formativo“Capire i propri figli”, psicologo Dr Osvaldo Poli, aprile 2010.

È facile comprendere quanto sia importante conoscere realisticamente i propri figli e attribuire il giusto significato ai loro comportamenti per sapere quale atteggiamento educativo adottare. Non è possibile fare la cosa giusta – affermava un genitore – senza sapere come stanno le cose.

L’intervento educativo presuppone un’adeguata comprensione della realtà, così come ogni terapia necessita di un’adeguata diagnosi. Sapere dunque «cosa fare» con i figli, non può che scaturire dal modo di comprendere la ragione dei loro comportamenti.

 

L’amore non è  cieco

A chi non è capitato di stupirsi di fronte ad un genitore che non è in grado di attribuire il giusto significato ad alcuni comportamenti del figlio? Ad un osservatore esterno, ad esempio, pare evidente che il bambino stia facendo dei capricci, mentre il genitore pare non dare lo stesso significato al suo  comportamento; così come, in un altro caso, benché sia evidente che il bambino abbia  solo «sete di Coca Cola», il genitore si comporta come se il bambino fosse a rischio di disidratazione. Può anche succedere che il figlio stia cercando di fare la vittima, e il genitore, non comprendendo la situazione, continui a dare corda alle sue recriminazioni; oppure che il figlio voglia sfinire il genitore con insistenze esasperanti, e questi si sforzi di rispondere nel merito senza comprendere il reale significato di tale ostinazione. In altre circostanze pare proprio evidente che il figlio cerchi di aver ragione anche se ha torto, e il genitore si lasci invischiare in una disputa assurda e senza fine.

Non è infrequente che un osservatore esterno si ritrovi a pensare: ma come può non capire, non rendersi conto? Suscita meraviglia l’incapacità altrui di «capire come stanno le cose», quella sorta di «cecità» che rende incapaci di gestire adeguatamente la situazione.

Per non parlare del genitore che ritiene il proprio figlio «molto intelligente», mentre è solo molto studioso, o «un po’ vivace», mentre è un rompiscatole, o «con qualche difficoltà di concentrazione», mentre in realtà non si sforza minimamente di stare attento in classe, o «non compreso dai suoi insegnanti», mentre a detta di tutti è insopportabile. Alcune evidenze non sono recepite come tali dal genitore, perché alcune paure o alcuni desideri di cui è poco consapevole distorcono la realtà attribuendole un significato ingannevole.

Non è nemmeno così improbabile trovare genitori che, messi di fronte alle mancanze del figlio, si offendano e tolgano il saluto a chi li ha messi sull’avviso, a tal punto sono incapaci di considerare gli elementi di realtà che li indurrebbero alla stessa valutazione.

 

Conoscere prima di agire

Ogni decisione educativa è guidata da un’ipotesi interpretativa, spesso implicita, che «spiega»  e rende comprendibile il comportamento dei  figli. L’intervento non può che essere mosso da ipotesi conoscitive che diano un senso agli avvenimenti.

“ fare la cosa giusta” presuppone , dunque, lo sforzo e la fatica di cercare la giusta chiave interpretativa dei comportamenti del figlio. Più infatti ci si avvicina ad essa, più diviene chiaro ciò che è opportuno fare, mentre una lettura distorta dei suoi comportamenti predispone ad atteggiamenti educativi errati e controproducenti.

 

È inevitabile  dunque che un genitore si chieda per prima cosa : perché mio figlio fa così? Come devo intendere questo suo comportamento?

Perché si comporta in questo modo con la sorellina? – si chiede ad esempio un genitore – Per quale ragione non si impegna nello studio come potrebbe? Che significato dare al fatto che si oppone sistematicamente alle mie indicazioni? Cosa devo pensare, constatando che non lega con i compagni, oppure disturba in classe, o che, quando discutiamo, voglia avere sempre ragione?

Ogni genitore è alla ricerca di un filo rosso a cui appendere le proprie osservazioni e dare un senso coerente a tutti i dati di realtà evidenziati dall’esperienza quotidiana. È decisivo infatti ricercare un’intuizione di fondo relativa alle motivazioni del figlio, alla luce della quale la trama degli avvenimenti acquista un senso e si ha la possibilità di comprendere le forze che governano  i suoi comportamenti. La sensazione di capire rappresenta una consolazione della mente di gran lunga preferibile al dubbio, all’incertezza, ai mille modi con cui cerchiamo di evitare la realtà negando l’evidenza nel tentativo di far tornare i conti, di avvallare le nostre ipotesi e di negare ciò che non ci piacerebbe scoprire.

Sovrascrivere la realtà quanto agli aspetti deludenti dei figli ed evitare di ammettere i loro difetti non rappresenta un buon presupposto per aiutarli a crescere bene. Voler credere che il proprio figlio, ad esempio, sia sistematicamente vittima dell’insensibilità altrui, mentre egli stesso ha atteggiamenti che lo rendono insopportabile, contribuisce a mantenere il problema piuttosto che a risolverlo.

Considerare sistematicamente solo gli aspetti della realtà che avvalorano la propria tesi precostituita, forzare il significato dei fatti, negare alcune evidenze perché «non si vogliono vedere» aspetti poco piacevoli dei figli, impedisce di fare ciò che è giusto e di perseguire il loro bene educativo.

È di tutta evidenza quanto sia importante e difficile avere uno sguardo obiettivo sui propri figli, avere di loro una comprensione realistica, non filtrata dalle proprie paure né deformata dai propri bisogni.

Il miglior modo di aiutare i figli a crescere bene è  cercare di conoscerli come realmente  sono, avere di loro una chiave interpretativa che dia   un senso coerente  ai loro  comportamenti, senza forzature o omissioni.

Lo sguardo dei genitori è limpido nella misura in cui amano più la verità del figlio stesso.

 


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